giovedì 23 maggio 2019

Kant: la critica della ragion pura

Kant è uno dei massimi esponenti del pensiero occidentale, a cui hanno dato un'impronta nuova segnando una vera e propria svolta nel panorama filosofico moderno. Nelle sue opere l'autore esamina le condizioni che rendono possibile la conoscenza, l'agire etico-politico e l'esperienza estetica.

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Critica della ragion pura

Secondo Kant l'uomo può conoscere in modo obiettivo soltanto ciò che concerne l'esperienza fenomenica, cioè tutto quello che rientra nella sfera della sensibilità.


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Indagine sulla ragione

Si tratta di una questione che il filosofo affronta nella prima delle sue critiche, in cui indaga a fondo il rapporto tra la conoscenza sensibile e quella razionale.
Il filosofo intuisce un processo della ragione per vagliare le fonti da cui possiamo validamente attingere le nostre conoscenze e stabilirne al tempo stesso i limiti.


Kant osserva che la scienza produce conoscenze affidabili in quanto si basa su giudizi sintetici a priori.
Questo implica che nell'atto conoscitivo intervengano due aspetti: un contenuto empirico sintetico, costituito dalle impressioni sensibili derivanti dall'esperienza, e delle forme a priori, cioè la modalità con cui la mente umana ordina e unifica tale espressioni.
Secondo il filosofo ora è la realtà che nell'atto conoscitivo si deve adeguare alle facoltà umane attraverso cui è percepita e ordinata (rivoluzione copernicana).


Forme della conoscenza

Kant analizza le due forme di conoscenza valide, quella sensibile e quella intellettiva rispettivamente nelle due parti della Critica della ragion pura intitolate Estetica trascendentale e Analitica trascendentale.
Le forme a priori della sensibilità vengono individuate nello spazio e nel tempo.
➥Lo spazio è una rappresentazione a priori che sta a fondamento di tutte le intuizioni delle cose esterne.
➥Il tempo è un'intuizione pura che sta alla base della percezione dei nostri stati interiori.
La sensibilità costituisce il primo gradino della conoscenza, ma per ottenere la conoscenza autentica dobbiamo spingerci oltre, per indagare una facoltà superiore: il pensiero.
Il pensiero si articola a sua volta in intelletto e ragione. E' grazie alla attività "sintetica" dell'intelletto che gli oggetti da noi intuiti sulla base della sensibilità vengono unificati attraverso i concetti puri o categorie.


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L'Io penso

Il filosofo ricorre all'io penso, la suprema funzione sintetizzatrice alla base di tutta la conoscenza per giustificare la legittimità dell'applicazione delle categorie dell'intelletto ai dati della esperienza ➥ problema della deduzione trascendentale. Senza di esso l'uomo avrebbe rappresentazioni confuse e disperse, e inoltre non potrebbe riferirle a se stesso.

Fenomeno o noùmeno

La realtà in cui l'io penso è legislatore, tuttavia, è unicamente la realtà fenomenica, ossia la realtà che appare all'uomo attraverso le facoltà come la sensibilità e intelletto e chi costituisce l'orizzonte  entro cui può ottenere la vera conoscenza.
Il noùmeno (ciò che è pensabile) invece è la dimensione delle cose in sé per Kant  pensabile ma non conoscibile.





David Hume



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David Hume è un filosofo scozzese nato a Edimburgo il 26 aprile 1711. Il suo pensiero giunge a esiti scettici dell'empirismo, affermando che la conoscenza umana- fondata su abitudini e credenze soggettive- non può giungere il grado della probabilità.

La fonte di ogni sapere

David Hume afferma che tutta la nostra conoscenza si basa sulle impressioni, percezioni vive e forti, e idee , immagini illanguidite delle impressioni, che il nostro intelletto percepisce nella memoria e nell'immaginazione. ➥Quest'ultima non è libera, in quanto è regolata dal processo di associazione che agisce su tre criteri: somiglianza, contiguità e casualità. La nostra mente è portata grazie a questo processo ad associare le idee che si presentano simili, contigue o legate da un nesso causa-effetto.

Le idee che ne derivano sono idee complesse e in esse consiste tutto il nostro sapere.


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Le certezze nel mondo 



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Hume ritiene che nel caso dell'algebra e della aritmetica, che riguardano relazioni tra le idee, si raggiungano verità assolutamente certe perché costruite a priori e per quanto riguarda le conoscenze empiriche, che riguardano i dati di fatto, dobbiamo ritenerle soltanto probabili. 

Il concetto di causa, l'abitudine come credenza, l'idea di sostanza

A partire da tali argomentazioni Hume procede a criticare il concetto di causa. Secondo lui la casualità non ha un valore oggettivo ma è frutto della nostra abitudine a collegare un fenomeno A a un fenomeno B. 
In realtà l'esperienza attesta solo la contiguità e la successione di tali eventi ma non la necessità del loro legame casuale. Quest'ultimo è dunque da attribuire a un'attitudine soggettiva, ovvero l'abitudine. Da essa deriva poi la credenza , cioè la tendenza a considerare esistenti determinate realtà, ad esempio la sostanza materiale e la sostanza materiale. 
Anche per l'idea di sostanza si può osservare quanto rilevato a proposito dell'idea di causa: essa è arbitraria e priva di valore assoluto perché risiede nell'inclinazione del soggetto a unificare le varie impressioni che si presentano regolarmente connesse nell'esperienza riferendole a un ipotetico fondamento sostanziale. 



Prospettiva etica di Hume

Per ciò che riguarda la dimensione etica, Hume è convinto che non esistano valori assoluti cui fare riferimento e che la morale debba poggiare sul criterio empirico dell'utilità sociale. 
Secondo la legge di Hume non è possibile dedurre il piano del dover essere, cioè delle prescrizioni , da quello dell'essere, cioè dal piano descrittivo dell'esperienza contingente, in cui  si può valutare l'utilità di determinati comportamenti .

Hume inoltre ammette l'esistenza di un senso morale comune a tutti gli uomini che garantisce la possibilità di individuare principi etici condivisibili.




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mercoledì 3 aprile 2019

John Locke

Secondo Locke ogni nostra conoscenza deriva dalla esperienza. Si tratta di una tesi fondamentale da cui il filosofo muove per circoscrivere l'ambito entro cui gli uomini possono legittimamente applicare i propri strumenti conoscitivi.

John Locke è il padre dell'empirismo italiano moderno. La sua opera più impegnativa, il Saggio sull'intelletto umano, segna un' inversione di rotta rispetto alla filosofia razionalista perché propone un'indagine critica delle facoltà conoscitive con l'obiettivo di stabilirne possibilità e sopratutto limiti. 


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Locke e l'immagine critica delle facoltà conoscitive

Gli esiti della indagine di Locke portano alla constatazione che, essendo l'intelligenza limitata all'esperienza, all'essere umano non è consentono fare arbitrare costruzioni e concettuali che la oltrepassano. Il percorso compiuto  da Locke per giungere a tale conclusione parte dalla critica delle idee innate ammesse dai filosofi razionalisti.
Locke afferma che nella mente non ci siano idee innate; ciò è dimostrato dal fatto che il bambino e gli idioti non le possiedono. Non resta riconoscere che tutte le nostre idee provengono dalla esperienza; in particolare, dall'esperienza esterna derivano le idee di sensazione, dall'esperienza interna derivano le idee di riflessione. Sensazione e riflessione sono le uniche fonti della conoscenza.
Locke poi passa a trattare la distinzione tra le idee semplici e idee complesse. Le idee semplici sono le uniche che l'esperienza ci fornisce. 
Sono idee semplici quelle di "dolce", "amaro", "caldo", "freddo".. Esse sono ricevute passivamente dall'intelletto.
Le idee complesse sono prodotte dall'attività del nostro intelletto che riunisce, collega e confronta le idee semplici. Le idee complesse sono "padre" "fratello" "amicizia", "gratitudine" ecc.
Delle idee semplici possiamo avere certezza, non così nel caso di quelle complesse.
Ad esempio, l'idea di sostanza, che deriva dalla combinazione di una serie contigua di idee semplici, è costruzione arbitraria della mente. Sia le sostanze corporee sia  quelle spirituali non sono conoscibili: esse infatti derivano dalla nostra tendenza a unificare le sensazioni a dar loro un fondamento. Dal complesso dell'opera lockiana si desume pertanto una nuova immagine della ragione non più assoluta e autoevidente, ma dotata di poteri finiti e illimitati.


La concezione di Stato e l'affermazione della tolleranza

Secondo Locke, il potere politico si fonda sul consenso dei cittadini, da cui deriva il contratto sociale alla base della formazione delle società civile e dello Stato. A differenza di Hobbes, Locke riconosce che il contratto deve essere stipulato tra cittadini e sovrano, il quale ha il compito di tutelare i diritti fondamentali e inviolabili di ciascun di essi. 
Tale diritti naturali esistono già nello stato di natura, che Locke non considera come condizione di guerra di tutti contro tutti bensì come una dimensione in cui gli uomini sono illuminati da una legge naturale di carattere razionale, che li porta a godere del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. E' per evitare abusi e degenerazioni che gli uomini decidono di costruire la società civile stipulare il contratto sociale, il quale implica due patti: con il patto di unione gli individui si riuniscono in società; con il patto di sottomissione, gli individui si assoggettano a un governo sovrano, che ha come suo obiettivo primario la salvaguardia dei diritti naturali dei singoli.
Per quanto riguarda le prerogative del potere politico, Locke le chiarisce in una sua opera La lettera sulla tolleranza, sottolineando la necessità della distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, riconoscendo piena libertà di culto a tutte le religioni ed auspicando il divieto dello Satto di imporre con la forza una fede particolare. Al potere politico infatti non compete "la cura delle anime", ma l'elaborazione delle leggi e il compito di farle osservare.











mercoledì 20 febbraio 2019

Hobbes



Thomas Hobbes nasce a Westport in Inghilterra il 5 aprile 1588.

Hobbes è una delle personalità più singolari del pensiero moderno e una figura ancora oggi più significativa per la radicalità delle posizioni teoriche.


La prospettiva materialistica
Hobbes elabora una visione materialistica dell’universo e dell’uomo, in base ai quali i corpi sono l’unica realtà è il movimento l’unico principio di spiegazione dei fenomeni naturali. Da questi due fattori derivano le immagini delle cose a cui sono attribuiti i nomi che vengono connessi nei ragionamenti.

L’intelletto per Hobbes ha in funzione computazionale-> appunto collega i nomi attribuiti convenzionalmente alle immagini delle cose grazie al linguaggio, il quale a sua volta svolge il duplice compito di memorizzazione e di comunicazione.

Nella prospettiva materialistica hobbesiana anche i concetti di bene e di male sono riconducibili alla corporeità, identificandosi rispettivamente con ciò che favorisce o danneggia la conservazione fisica dell’uomo.



La teoria dell’assolutismo
Le condizioni del benessere della società risiedono per Hobbes nella costituzione di potere assoluto in grado di regolare e disciplinare gli istinti negativi degli uomini, per natura caratterizzati da tendenze aggressive ed egoistiche.
Hobbes individua alcuni istinti fondamentali, come quello all’autoconservazione, che spinge gli esseri umani ad agire sempre in vista del proprio utile, anche a discapito degli altri.

Nell’ipotetico stato di natura regna la guerra tutti contro tutti: una situazione di massima libertà ma anche estrema precarietà e insicurezza, in cui è messa a repentaglio la vita degli individui e ognuno ha un diritto illimitato sulle cose e non esita a usare la violenza per ottenerle o difenderle.
L’unica soluzione per uscire da questa miseria è seguire la via della ragione che prescrive alcune leggi naturali. Secondo tali indicazioni gli uomini sacrificano i propri diritti naturali e costituiscono una società politica e civile. A tal fine devono stabilire un patto di unione e un patto di sottomissione.
Lo Stato chiamato anche Leviatano che ne deriva ha un potere assoluto ma anche dei limiti.




martedì 19 febbraio 2019

Cartesio

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Cartesio è nato nel 1596 a La Haye nella Touranie (Francia) e frequenta il celebre collegio dei gesuiti di La Flèche. 

E' un pensatore dalla massima importanza, da molti considerato "il padre della filosofia moderna" per aver messo in discussione il sapere tradizionale, aver spostato il fulcro della ricerca filosofica sul oggetto e sulla sua razionalità e infine di aver scoperto le reali possibilità della ragione umana.

Tra le opere principali di Cartesio ricordiamo le Regole per la giuda dell'intelligenza, il Discorso sul metodo, Diottrica Meteore e Geometria, le Meditazioni sulla filosofia prima, i Principi di Filosofia e Le passioni dell'anima.

Dal dubbio metodico all'intuizione del cogito

La ricerca di Cartesio è basata su un'unica domanda ovvero: "Esiste una certezza indubitabile su cui fondare la conoscenza?".

Per rispondere a questa domanda il filosofo inizia a interrogarsi sul procedimento della conoscenza , rilevando che molto spesso gli uomini incorrono in degli errori per la mancanza di un metodo efficace che li faccia arrivare alla verità. 

Per questo elabora delle leggi che devono orientare l'indagine scientifica:
➥la regola dell'evidenzia- prescrive di accogliere come vero soltanto ciò che è veramente tale;
➥la regola dell'analisi- prescrive di dividere ogni problema nelle sue parti elementari;
➥la regola della sintesi- prescrive di procedere nella conoscenza con ordine, passando dagli oggetti più semplici a quelli più complessi;
➥la regola dell'enumerazione- prescrive di fare sempre  enumerazioni complete e revisioni generali, così da essere sicuri di non omettere nulla.

Il metodo quindi secondo Cartesio è uno strumento essenziale per avanzare speditamente nell'indagine scientifica ma non garantisce la certezza delle nostre conoscenze.
L'autore quindi decide di dubitare su tutto quello che non offre la garanzia dell'evidenzia e mette in dubbio perfino la sua esistenza. Propone l'ipotesi del genio maligno che ci trae in inganno e con quest'ultima il dubbio si estende, diventando dubbio iperbolico, cioè radicale e universale. Esso tuttavia si presenta come un dubbio metodico poiché viene operato come mezzo per raggiungere la verità.
Cartesio trova che proprio il fatto di dubitare di tutto, lo rende una verità inconfutabile: cogito, ergo, sum.

Dio come garante dell'"evidenza"

Dopo la scoperta del cogito, cioè della certezza che esistiamo come pensiero, Cartesio si accinge a valutare le idee, che si distinguono in fattizie, avventizie e innate: tra quest'ultime c'è l'idea di Dio come essere onnipotente e perfetto. Poiché tale idea non può ne derivare da noi, ne dal mondo esterno, si deve concludere che deriva da Dio stesso.

L'esistenza di Dio è anche attestata dalla prova ontologica, secondo cui il concetto dell'essere perfetto include necessariamente l'esistenza.

Il dualismo cartesiano

Il sistema cartesiano è dominato da un profondo dualismo, che contrappone la rex extensas (la materia) alla rex cogitas (il pensiero).
Nell'uomo tale dualismo si esprime nella separazione tra anima, intesa come il complesso delle attività intellettuali coscienti, e il corpo, concepito come una macchina le cui attività sono frutto di leggi meccaniche.