mercoledì 3 aprile 2019

John Locke

Secondo Locke ogni nostra conoscenza deriva dalla esperienza. Si tratta di una tesi fondamentale da cui il filosofo muove per circoscrivere l'ambito entro cui gli uomini possono legittimamente applicare i propri strumenti conoscitivi.

John Locke è il padre dell'empirismo italiano moderno. La sua opera più impegnativa, il Saggio sull'intelletto umano, segna un' inversione di rotta rispetto alla filosofia razionalista perché propone un'indagine critica delle facoltà conoscitive con l'obiettivo di stabilirne possibilità e sopratutto limiti. 


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Locke e l'immagine critica delle facoltà conoscitive

Gli esiti della indagine di Locke portano alla constatazione che, essendo l'intelligenza limitata all'esperienza, all'essere umano non è consentono fare arbitrare costruzioni e concettuali che la oltrepassano. Il percorso compiuto  da Locke per giungere a tale conclusione parte dalla critica delle idee innate ammesse dai filosofi razionalisti.
Locke afferma che nella mente non ci siano idee innate; ciò è dimostrato dal fatto che il bambino e gli idioti non le possiedono. Non resta riconoscere che tutte le nostre idee provengono dalla esperienza; in particolare, dall'esperienza esterna derivano le idee di sensazione, dall'esperienza interna derivano le idee di riflessione. Sensazione e riflessione sono le uniche fonti della conoscenza.
Locke poi passa a trattare la distinzione tra le idee semplici e idee complesse. Le idee semplici sono le uniche che l'esperienza ci fornisce. 
Sono idee semplici quelle di "dolce", "amaro", "caldo", "freddo".. Esse sono ricevute passivamente dall'intelletto.
Le idee complesse sono prodotte dall'attività del nostro intelletto che riunisce, collega e confronta le idee semplici. Le idee complesse sono "padre" "fratello" "amicizia", "gratitudine" ecc.
Delle idee semplici possiamo avere certezza, non così nel caso di quelle complesse.
Ad esempio, l'idea di sostanza, che deriva dalla combinazione di una serie contigua di idee semplici, è costruzione arbitraria della mente. Sia le sostanze corporee sia  quelle spirituali non sono conoscibili: esse infatti derivano dalla nostra tendenza a unificare le sensazioni a dar loro un fondamento. Dal complesso dell'opera lockiana si desume pertanto una nuova immagine della ragione non più assoluta e autoevidente, ma dotata di poteri finiti e illimitati.


La concezione di Stato e l'affermazione della tolleranza

Secondo Locke, il potere politico si fonda sul consenso dei cittadini, da cui deriva il contratto sociale alla base della formazione delle società civile e dello Stato. A differenza di Hobbes, Locke riconosce che il contratto deve essere stipulato tra cittadini e sovrano, il quale ha il compito di tutelare i diritti fondamentali e inviolabili di ciascun di essi. 
Tale diritti naturali esistono già nello stato di natura, che Locke non considera come condizione di guerra di tutti contro tutti bensì come una dimensione in cui gli uomini sono illuminati da una legge naturale di carattere razionale, che li porta a godere del diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. E' per evitare abusi e degenerazioni che gli uomini decidono di costruire la società civile stipulare il contratto sociale, il quale implica due patti: con il patto di unione gli individui si riuniscono in società; con il patto di sottomissione, gli individui si assoggettano a un governo sovrano, che ha come suo obiettivo primario la salvaguardia dei diritti naturali dei singoli.
Per quanto riguarda le prerogative del potere politico, Locke le chiarisce in una sua opera La lettera sulla tolleranza, sottolineando la necessità della distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, riconoscendo piena libertà di culto a tutte le religioni ed auspicando il divieto dello Satto di imporre con la forza una fede particolare. Al potere politico infatti non compete "la cura delle anime", ma l'elaborazione delle leggi e il compito di farle osservare.











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